venerdì 2 dicembre 2016



“ Non t'illudere che i ghetti si chiudano      
o che il potere si chini su un passero caduto
o che il prete pianga con te dopo che hai pagato la messa
o che l'oratore che infiamma gli animi creda a quel che dice
o che il becchino che ti seppellisce pensi ai tuoi figli
o a tua moglie rimasta a casa lì seduta a far nulla.

Non pretendere che qualcun altro si prenda il tuo carico
se tu tiri il sasso e nascondi la mano,
né che l'amico debba sempre stare
al tuo posto sotto la frusta.

Non credere di poter vivere
una vita di dignità e coraggio
senza reggerti l'anima coi denti
e restando sempre in casa al caldo
a guardare nel notiziario della sera
quanti sono morti perché tu possa
spegnere la luce, dire le tue preghiere
e sentirti l'eletto del Signore.

Se vuoi servire la libertà, fallo,
se vuoi piangere con chi piange, chinati,
se vuoi che qualcuno ti segua, non parlare, cammina.
Ma non farlo per mestiere, dopo un po' ti stanchi.”

mercoledì 16 novembre 2016



Eravamo rimaste ai convenevoli
e non siamo mai riuscite ad andare oltre,
a spiegare silenzi e malumori
quei giorni chiusi e dispettosi
in cui non sei tu a comandare
ma la rabbia che è in te, vecchia ed eterna.

Siamo rimaste a quello, in effetti,
a quel dirsi e non dirsi, ad aspettare
un cenno d’intesa e un sorriso
dietro la chiostra dei denti, ché possa rallegrarti
dietro pensieri d’incredibile crudo
nei reni induriti dal continuo
vivere giorni in bilico.

Sorriso non arrivò mai.

martedì 25 ottobre 2016



Si danno la mano ragazze e ragazzi  e parlano fitto
piano piano sull’altalena,
io li guardo con gli occhi socchiusi e mi scopro
 a sognare che il loro domani
si svegli lì nel parco, a giocare
coi loro pensieri
e speranze appena scoperte;
in ozio sulla panca di legno africano
scolpito da mano compagna
appoggio la testa sul muro
e ricordo.

Io non so come ho fatto ad uscirne,
da quel buco che odorava di cemento fresco
nel cimitero nuovo, a quel tempo; vedevo
aperte le bocche,
ad attendere, diceva mia madre
murata viva in un dolore
senza speranza.

II
Non so come ho fatto
in un giorno di sole a trovare il coraggio
di tornarmene a casa da sola
e lasciarla a parlare
con lui che taceva
della figlia ribelle.
E mi scalda la nuca il cemento, ripenso
a quegli anni a capofitto, persa
la bussola del cuore, la pena infinita
del dire sempre no per non morire
anch’io, pure se a volte
non sapevo io stessa.

E le amiche e le risa e la voglia
di una vita qualunque, che fosse
casa e baci e parlarsi ed amore tranquillo.
I ragazzi nel parco parlottano
perché io non li senta, non sanno
quante volte ho parlato così, gli sorrido
e un po’ cauti, guardandosi,
fanno un piccolo cenno.

III
Chi sa poi perché oggi
un giorno senza niente di speciale
penso a come ho volato attraverso
dolore e follia
e non hanno lasciato che polvere
da scrollarsi con gesto incurante, ma poi
vecchia foto beffarda di occhi brillanti
e scappo dallo specchio che racconta
una storia diversa.

Chi sa perché mi passa per la mente
quel giorno che decisi di partire
e non lo feci, e mai conobbi
la donna che restava.
E,  padre, se prima che tu andassi
a varcare la soglia
t’avessi fatto tutte le domande
forse saprei chi sono.
Credevo d’aver tempo, non sapevo
quel giorno che ci strinsero le mani
e io stranita carezzavo il gatto
che poi scomparve, era il tuo.

Credevo  d’aver tempo, non sapevo
se capita due volte l’occasione
di dirsi tutto.

IV
E facce e gente e amici e case
scogli sul mare e spiagge solitarie
montagne brulle e abeti e funivie
sola con me.
E giorni pieni e riso e pianto e pugni
picchiati fino al sangue, e adesso ancora
la pena del conoscerti il dolore
e niente in mano a dare appena
un po’ di pace
alla vischiosa sofferenza tua
che si nasconde ad ogni tentativo
di conforto.

Qualche volta la tregua, perfino,
orizzonti di mare.

V
E si, il mare. Ne ho pedalati pattini
e son stata sdraiata sul fondo di barche
o mi sono tuffata e talvolta caduta di pancia
e riemersa fingendo di niente il dolore.
Ci ho parlato col mare a occhi chiusi
come adesso in questa pianura di nebbie
parlo al melo dai frutti piccini
che legano i denti, come parlo alla menta
che a toccarla diffonde profumo
fino al viale.
Ma a parlare col mare era piano
era lento il tempo, anche d’inverno
su una strada ad Ortigia a sentire gli spruzzi
furibondi sulla faccia gelata.
era lento l’andare a Marina di sera
sopra il molo di pietre scomposte.

VI
C’è la gente che passeggia sottobraccio
con la maglia annodata sui fianchi, di sera,
quando pensi che il fresco potrebbe
diventare di vento stizzoso,
e la gente cammina senza voglia di rientrare
perché incontra gli amici e si mangia il gelato,
i bambini con i sacchetti
di patatine e lo stuzzicadenti
a strisce colorate.
E nessuno che pensa che è tardi,
non c’è niente da fare domani mattina.

Siamo andati anche ad Erice, un giorno,
che strana quella nebbia di montagna
uscivano dal nulla le figure
incappucciate della processione
di Pasqua.

VII
E un dolore più sordo nel giorno di morte
allungare la mano e carezzare il nulla,
non c’è mare che tenga.
Un giorno di urla e di odio
che anche oggi con la schiena
sul muro caldo
spacca in due.
Un dolore che adesso confonde
tutti i pianti, dal giorno
che tornasti sconfitta.
Chiuso il cerchio, poi a questo tutto torna,
a quella volta che sentii precisa
la consapevolezza del nulla,
il precipizio dell’irrealtà
vestita a festa.

E poi il riso dei ragazzi, al parco,
ad occhi chiusi, e la realtà è  a venire.

martedì 18 ottobre 2016



Potevo essere una signorina molto beneducata
O una figlia dei fiori con svolazzanti
Vestiti di più strati di velo;
potevo anche essere una compunta
insegnante di lingue con occhialini
e forse sarei riuscita bene a recitare commedie
correndo sopra un palcoscenico di assi insicure.

Credo che mi sarebbero venute bene
anche le crepe suzette, nel caso avessi avuto l’idea
alquanto balzana di solleticarvi i palati,
fatemi essere così immodesta da credere
che avrei potuto fare un salto con l’asta
meglio di Bubka
se solo mi fossi messa a dieta, magari…
o vi avrei intagliato tavoli o scolpito marmi.

Certo che potevo.

Invece sono qui a ridermela
e mi bevo piuttosto soddisfatta
il mio infuso di qualche cosa purché profumi.